1982: IL CALVARIO DI DINO FONTANA COMPLICI GLI “AMICI DEL MOMBARONE” – IL RITORNO AL JERVIS DELLA TRE RIFUGI ACCOLTA DALLA NUOVA GESTIONE DI ROBY BOULARD - LA SALITA A PIEDI RIDUCE I PROTAGONISTI
La discussione si era animata non poco nel corso di un allenamento che portava gli atleti a calpestare i sentieri che da Ivrea salgono, via Andrate e San Giacomo, alla Colma del Mombarone.
Altri sentieri storici di “Inutili Fatiche” nate addirittura nel 1922 nella versione originale di andata e ritorno e riprese nel 1977 ad opera di Giuseppe Nicolotti che programmò, però, il termine della fatica all’apice della Colma. Ventuno chilometri e duemila metri di dislivello che rappresentano l’orgoglio della Corsa in Montagna in salsa Eporediese. La ripresa della manifestazione aveva originato la nascita di una nuova equipe di specialità: gli Amici del Mombarone.
Il confronto era tutto all’interno degli atleti del citato sodalizio. Gillio, Perucchione, Bianchetti, Roffino e Gozzano parlavano di una nuova gara nella lontana Val Pellice cui avevano partecipato negli anni 1979 ed ’80. Peraltro Gozzano e Bianchetti vantavano la loro vittoria nella gara femminile avvenuta in ambedue le edizioni citate. Ne evidenziavano il fascino e finanche le difficoltà (Ahi, quel Colle Manzol) ma sostenevano la tesi dell’accesso facile tramite “Comoda strada asfaltata”.
A dubitare delle informazioni logistiche che venivano dispensate tra un fiatone e l’altro era il valdostano Giuseppe Emilio Camos che quel giorno si era unito ai colleghi di fatiche. Altre e difformi informazioni aveva assunto Camos, per bocca di un suo compaesano e collega di lavoro: Marco Treves da Chatillon o meglio, da Emarese. Marco, che di Tre Rifugi ne aveva vinte 4, parlava di un accesso complicato tramite mulattiera che saliva dal villaggio di Villanova al Pra. Un’ora buona di cammino!
L’enigma non trovò soluzione né nella dura salita e neppure nella successiva discesa che portò i nostri a recuperare energie davanti ad un buon bicchiere di vino non essendo ancora stati scoperti, all’epoca, i miracolosi benefici della birra. Come sovente succede, la verità stava nel mezzo e la contesa si concluse senza vinti ne vincitori. Infatti:
la terra promessa, ovvero la Conca del Prà riaccolse i fedeli della Tre Rifugi l’11 luglio 1982 dopo l’esilio Barbariano durato per 5 edizioni e dovuto all’incendio che aveva distrutto, nel 1976, il Rifugio Willy Jervis cuore pulsante della manifestazione sportiva. La struttura aveva ripreso vita fin dal 1980 sotto la guida del giovane Roby Boulard e nel 1982, in occasione dell’undicesima edizione, si manifestarono le condizioni per il glorioso rimpatrio sportivo.
La pista di accesso al Pra era ancora in divenire, la “provinciale” con transito al Barant era diventata inutilizzabile e, conseguentemente, il ritorno alle vecchie abitudini (accesso a piedi da Villanova) determinò una forte selezione degli atleti al via. Furono 87 le coppie (2 femminili) che rispettarono l’ortodossia della Tre Rifugi in luogo delle 153 che nella edizione precedente si affidarono al rombo di motori più o meno affidabili.
Giuseppe Camos fu uno di questi: forte atleta di quelle che in Valle d’Aosta erano denominate “Marzè a pia” era rimasto colpito dai racconti di Marco Treves e, complice anche la promessa del Campione di essere presente anche lui, con lo storico socio Marco Morello, decise di affrontare la prova implementata da salita e discesa a piedi sulla mulattiera del Pra.
La scElta del compagno di avventure ricadde su Dino Fontana giovane e promettente atleta del nobile mezzofondo pistaiolo. Certamente non era la specialità da lui prediletta: le salite e le discese potevano anche andare ma… quando lo sforzo atletico superava l’ora, “ad abundantiam” l’ora e mezza subentrava l’apatia che conduceva a sofferte crisi mistiche. Però… aveva fatto l’Ivrea Mombarone e ciò gli assegnava la patente di compagno affidabile per l’agognata avventura in Val Pellice.
Lo stesso Dino non ebbe il coraggio di rifiutare il prestigioso ruolo sia perché a Giuseppe Camos non si poteva dire di no sia perché quella partecipazione lo avrebbe fatto apparire, lui Biellese di nascita e di vita, vagamente Valdostano e si sa quanto fosse ambito queto titolo nel mondo delle Marce Alpine o Martzè a pia che fossero!
Non fu ne la convenienza e neppure la convinzione, quindi, a fargli salire la citata mulattiera la vigilia dell’11 luglio 1982 per presentarsi alla partenza con gambe riposate ma viso assonnato causa i canti degli avvinazzati protratti fino a tarda notte.
La scarna ma competente cronache di P.C. Morero ci raccontò, con dovizia di particolari, come andò a finire. Al seguito del fortissimo Camos, Dino celebrò l’ascesa al Colle Barant facendo affidamento eccessivo sulle sue immense qualità limitate, ahimè, al mezzofondo sia pure veloce o, al più agli sforzi intensi ma molto più brevi. Il transito al Barbara segnò il prevalere del pessimismo della ragione sull’ottimismo della volontà ed al cospetto del Colle Manzol una visione gli fece apparire Giuseppe Camos dotato di aureola e braccia aperte nell’attesa di accogliere amorevolmente lo sforzo estremo del socio attardato.
La discesa finale, la piana del Pra e finanche i Crin ‘d Puluc non rientrano nei ricordi di Dino causa il prevalere delle mistiche visioni sulla realtà. Solo dieci minuti dopo l’agognato ed agonizzante arrivo la dignità riprese il sopravvento, il tempo necessario per fornire al cronista che lo interrogava su quale fosse stata la parte più bella della sua gara una risposta “transchant”: la conclusione, indubbiamente la conclusione!
Ci provò il Valdostano Camos a convertire il Biellese Fontana forte del 2.34’44 che aveva comunque valso la 10° posizione. Niente da fare: non fece più ritorno in Val Pellice. Rimase un eretico sulle lunghe inutili fatiche e dedicò le sue qualità atletiche ad eccellere sui tracciati più brevi. Ne sono testimonianza i prestigiosi risultati ottenuti sui percorsi più adatti a lui. In fondo l’Atletica, variamente coniugata, è inclusiva. Delle sue qualità ne prese atto la Libertas Challand, prima, e l’Atletica Monterosa in ultimo che lo inserirono nel loro organico facendolo diventare, perlomeno dal punto di vista societario, un atleta Valdostano.
Carlo D.